mercoledì 13 febbraio 2013

Bianco e Nero CAPITOLO 1



IL PRIMO CAPITOLO DI BIANCO E NERO PARTE I - IL POTERE DEI DRAGHI
DI P. MARINA PIERONI

CAPITOLO 1

 
Serenia sentiva il battito del suo cuore gareggiare con il rumore degli zoccoli del cavallo. Le sue gambe erano contratte contro l’addome dell’animale, ne percepiva la forza, l’energia e sentiva l’adrenalina scorrerle nelle vene.
Abbandonò la strada principale, per tentare di guadagnare minuti preziosi, attraversò un piccolo fossato senza diminuire l’andatura, numerosi schizzi si sollevarono in aria e si mescolarono alle sue gocce di sudore. Il vento le batteva impietoso sul viso e le faceva volare i lunghi capelli neri. Le muscolose zampe dello stallone si muovevano freneticamente. La sua velocità però non era sufficiente.
E’ troppo tardi!
Non ricordava l’ora in cui erano attesi gli ospiti, ma una cosa era certa, sicuramente non con il sole così basso all’orizzonte.
Si pentì amaramente di essersi concessa una passeggiata a cavallo dopo pranzo. Si era spinta fino alla faggeta di Soriana e si era lasciata conquistare dall’ombra dei faggi, addormentandosi su un soffice terreno. Cullata dal canto delle cicale e dai profumi del sottobosco, aveva dormito molto più del dovuto.
In quel momento imboccò il viale che portava a casa sua, finalmente vide le maestose torri del castello bianco che, per un curioso gioco del paesaggio, erano visibili solo all’ultimo momento.
Ci siamo quasi.
Oltrepassò gli ultimi alberi, vide con gioia che il cancello d’ingresso si stava già aprendo, i guardiani erano abituati ai suoi ingressi al galoppo folle.
Varcò il cancello, mentre il sole aveva già l’aspetto di un’arancia e infuocava orgoglioso il cielo. Attraversò quasi volando il viale che tagliava gli splendidi giardini e notò tristemente una carrozza davanti le scale d’ingresso. I quattro cavalli neri che la trainavano erano girati verso la sua direzione.
Oh, Cavolo! E’ davvero tardissimo!
Gli ospiti stavano già scendendo le scale di marmo.
Peggio di così non mi poteva andare.
Il suo cavallo s’impennò, lei fece un respiro e scese con un salto dalla sella.
Si staccò il vestito dalla schiena, che era rimasto fastidiosamente attaccato alla pelle, si tolse una foglia che aveva nei capelli e si stirò un po’ la gonna con le mani. Ovviamente non riuscì a guadagnare neanche un briciolo di decoro in più.
I mormorii si spensero, calò un imbarazzante silenzio e sentì tutti gli occhi dei presenti su di sé.
In fondo alle scale c’era sua madre e accanto a lei una donna meno giovane, con i capelli castano chiaro raccolti con estrema cura e un lussuoso vestito nero. La stava osservando con ribrezzo, come fosse uno scarafaggio sul suo ventaglio.
Serenia guardò la lunga gonna ricamata dell’aristocratica, poi le proprie gambe nude fin sopra il ginocchio e i suoi gambali sporchi di fango. Sospirò, poi assunse un’espressione sicura di sé e tornò a guardare l’ospite.
Non sono un bello spettacolo, cara signora?
Sua madre le si avvicinò con la sua andatura regale, fasciata in un abito bianco che le conferiva l’aspetto di una sirena.
<<Serenia!>> la chiamò severa, gli occhi spalancati in segno di rimprovero, scosse con grazia il capo, i lunghi capelli si mossero appena, poi si girò con eleganza verso la nobile signora.
Accanto alla dama era sceso un ragazzo, indossava con disinvoltura un’elegante giacca nera, con il collo alto. Anche lui aveva i capelli corvini e anche i suoi erano scompigliati, ma in modo innaturalmente perfetto. Serenia indugiò un attimo di troppo sui suoi occhi grigio-verdi.
Sua madre con un filo di voce cristallina si rivolse ai due ospiti: <<lei è mia figlia Serenia, scusatela per …>>
<<Scusarla? Beatrice non ci pensare neanche!>> tuonò una voce. Apparteneva al compagno della regina che, fino a quel momento, era rimasto sulle scale accanto alle altre principesse.
Il principe Lantis si avvicinò a Serenia, con gli occhi neri semisocchiusi, emanava un fastidioso odore di qualche colonia o olio esotico che era solito spalmarsi sulla pelle, in quantità esagerata.
Lei si sentì sovrastare dalla sua altezza e dalle sue spalle larghe, ma sostenne il suo sguardo inquisitore con fermezza.
<<Come hai osato arrivare in ritardo? Eri stata avvisata che avremmo avuto ospiti importanti!>> le ringhiò contro.
Ovviamente la sua era solo una domanda retorica, Serenia non sapeva se essere più infastidita dal suo odore o dalla sua espressione. Provò il forte desiderio di prenderlo a schiaffi.
<<E come hai potuto presentarti in questo stato?>> continuò lui <<ora vai nei tuoi appartamenti e restaci fino a nuovo ordine>>.
<<No, non andrò>> obiettò lei <<devo sistemare Hassan>>.
<<Ci penseranno i servitori, è il loro compito, ma credo tu ti sia dimenticata di memorizzarlo>> replicò Lantis in tono sarcastico <<guardati sembri una contadina invece di una principessa>>.
Se pensava di ferire i sentimenti di Serenia si sbagliava di grosso, lui non poteva sapere quante volte lei aveva desiderato essere una semplice contadina. Era convinta che l’assenza di obblighi formali ripagava dei calli nelle mani, e che tra il popolo i sentimenti di affetto fossero molto più spontanei che nella sua ricca casata.
Lei girò lo sguardo verso sua madre, evitando di ribattere alle parole del suo patrigno, e con la coda dell’occhio vide due servitori portare via il suo cavallo.
<<Madre … >> provò a dirle. Ma la regina continuò a esaminarla duramente. Era ovvio, non c’era possibilità di scusarsi, non c’era possibilità di dialogo. Il tribunale dell’inquisizione aveva già emesso il suo verdetto.
Lanciò un’occhiata alle sue sorelle che si stavano limitando a guardarla con i loro occhi inutilmente preoccupati,  imbarazzati forse.
  <<Vai nei tuoi appartamenti>> le ordinò sua madre.
Il tono della voce e l’espressione della regina le fecero aggrovigliare le viscere. Il fuoco le salì alle tempie e stava per tramutarsi in parole di rabbia.
Si sforzò però di far prevalere la razionalità. Si incamminò per le scale a testa alta, senza una parola e senza rivolgere lo sguardo a nessuno.
Non vi darò la soddisfazione di vedermi piangere.
 Entrò nell’edificio e si diresse nei suoi appartamenti.
Giunta nella sua tana sbatté la porta più forte che poté, si gettò sul letto e sprofondò il viso sul suo morbido materasso. L’odore familiare delle lenzuola fu il concime per far crescere la sua voglia di pianto. Finalmente le lacrime di rabbia fuorono libere.
Strinse forte il cuscino che odorava di sapone, poi lo scaraventò lontano mandandolo a sbattere contro la toeletta bianca. Una bottiglia di colonia rotolò in terra, bagnando il tappeto color cobalto.
Vi odio tutti! Spero che questo posto bruci!







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